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L’espresso all’italiana conquista Londra. I profitti volano, ma di tasse neanche l’ombra

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ARTICLE class=body-text itemtype=”http://schema.org/Article” itemscopedal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI/EM ASIDE class=sidebarIMG alt=”L’espresso all’italiana conquista Londra. I profitti volano, ma di tasse neanche l’ombra” src=”http://www.tgtube.it/wp-content/uploads/2014/04/wpid-151242416-e809b8e5-b041-46d5-a4a1-78869caad15b.jpg” itemprop=”image” Un’immagine delle caffetterie dal sito del Daily Mail/EM ASIDE class=sidebar-storieSTRONGLONDRA /STRONG- Che cosa hai messo nel caffè, viene la tentazione di domandare a un simbolico barista parafrasando la vecchia canzonetta, quale ingrediente segreto ci hai nascosto dentro, per tenere lontano il fisco? Caffè Nero, una delle maggiori catene di caffetterie all’italiana del Regno Unito, quei coffee-shops che hanno avuto successo nell’era della globalizzazione rinnovando la tradizione nostrana di espresso, cappuccino e latte macchiato, conosce indubbiamente la risposta al provocatorio quesito. Pur avendo fatturato un miliardo di sterline (un miliardo e 200 milioni di euro) tra il 2007 e oggi, con circa 100 milioni di sterline (120 milioni di euro) di profitti nello stesso periodo, l’azienda britannica ha infatti pagato zero tasse allo stato (avete letto bene: zero, insomma, neanche un soldo). Zero tasse per sette anni di seguito, incluso l’ultimo, il 2013, in cui ha realizzato 23 milioni di sterline di profitti (circa 27 milioni di euro) e di nuovo non ha versato neanche un penny di imposte./PPE tutto questo senza violare alcuna legge. Come spiega al Daily Mail/EM un portavoce della società, i profitti sono stati cancellati dal pagamento di interessi sugli ingenti debiti che hanno permesso al management di Caffè Nero di crescere da un singolo coffe-shop nel quartiere chic londinese di South Kensington nel 1997 (l’anno in cui Tony Blair entrò a Downing street e la globalizzazione partì al galoppo trasformando Londra e l’Inghilterra) a una catena di 556 caffè sparsi per tutto il paese, con piani /Pper aprirne altri 225 nei prossimi cinque anni, tanto vanno bene gli affari. PVanno bene, gli affari, per tante ragioni, ma indubbiamente anche per l’abilità degli avvocati fiscalisti dell’azienda nello sfruttare le scappatoie legali offerte alle aziende per pagare tasse a un’aliquota enormemente inferiore rispetto a quella fissata per le persone giuridiche ovvero le società (il 22 per cento – per tacere di quella sulle persone fisiche, che è del 50 per cento del reddito) o addirittura per non pagare nulla. La Caffè Nero, bisogna dire, è in buona compagnia: lo scandalo della “evasione legalizzata”, come viene chiamata da varie associazione di cittadini e consumatori che si battono per una maggiore giustizia fiscale, è arrivato fino in parlamento e ha spinto il governo a promettere di agire per chiudere le scappatoie più clamorose. Ma per ora non è stato fatto molto. Dalla Starbucks (catena di coffe-shop americana, ma presente ormai in tutta Europa, rivale della Caffè Nero) alla Apple, da Amazon a Google, alcune delle più ricche società della terra pagano l’1 per cento, lo 0,1 per cento o appunto lo zero per cento di tasse. E lo stato ringrazia lo stesso per i posti di lavoro, gli investimenti e l’indotto che portano. /P(07 aprile 2014) © Riproduzione riservata /PIMG alt=”la Repubblica quotidiano digitale” src=”http://www.tgtube.it/wp-content/uploads/2014/04/wpid-repubblicaipad314.jpg” width=300 height=120 ARTICLEARTICLE
pa href=”http://www.repubblica.it/economia/2014/04/07/news/caff_evasione_londra_fisco-82959495/?rss” target=”_blank” rel=”nofollow”View the original article here/a/p


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